Note biografiche di Bartolo Nigrisoli
Bartolo Nigrisoli nacque, primo di quattro fratelli, a Mezzano di Ravenna il 18 dicembre 1958. Il padre Carlo era il farmacista del paese. Di origini ferraresi, la famiglia Nigrisoli da cinque secoli annoverava diversi suoi membri applicati alla scienza medica.
Nigrisoli frequentò le scuole elementari prima a Mezzano, poi a Sant’Alberto, a casa dello zio Domenico, medico. Superò l’esame di ammissione alle scuole Tecniche, e successivamente al Ginnasio, che frequenterà inizialmente al Collegio Ferrari-Agradi di Parma, dove il padre lo iscrisse unitamente ai fratelli Vittorio e Antonio. A causa del carattere ribelle e autonomo di Bartolo, insofferente alle regole del collegio, il padre decise di ritirare i tre fratelli dal collegio e Bartolo prosegue gli studi a Ravenna, ospite dello zio Gaetano, farmacista. La figlia, di questi, Mariuccia, aveva sposato Olindo Guerrini, conosciuto già allora a Bologna e a Ravenna come poeta elegante e brillante polemista. Presso di loro rimase poco, perché il padre decide che lui e i suoi fratelli entrino nel Collegio Comunale di Ravenna: Vittorio e Antonio conseguiranno poi la laurea in Farmacia uno e in Medicina l’altro.
Negli ultimi anni del Liceo, Nigrisoli si mostrò poco interessato alle materie di studio ma diventò un lettore appassionato e instancabile grazie alla possibilità di frequentare la ricca biblioteca dell’amico ravennate Luigi Rava, destinato a diventare senatore e poi ministro del Regno. Nello stesso periodo conobbe e frequentò anche Nullo Baldini, futuro deputato socialista.
Conseguita la maturità, s’iscrisse a Bologna al corso di studi in Farmacia per passare poi al secondo anno di Medicina e Chirurgia nell’anno accademico 1878-79.
Durante il primo anno di studi fu “negligentissimo: di notte fuori con i compagni fra cui anche Giovannino Pascoli, di giorno a letto e spessissimo a casa in vacanza”, racconta nelle sue memorie. Oltre che di Pascoli diventò amico anche di Camillo Prampolini e dell’internazionalista Andrea Costa.
Gli anni del liceo a Ravenna e i primi dell’università furono caratterizzati da interesse e partecipazione alla vita politica, sia perché cresciuto in Romagna, in una famiglia dagli ideali repubblicani e progressisti e sia perché sensibile ai valori di giustizia e solidarietà del socialismo; l’impegno civile non lo abbandonerà mai, anche se maturò ben presto l’idea che l’esercizio della professione medica fosse incompatibile con un’attiva militanza politica.
Come si sentirà sempre libero di esprimere con schiettezza le proprie opinioni senza mai farsi intimorire, così sentirà sempre il dovere etico di assistere e di soccorrere chi gli chiede aiuto, indipendentemente dall’appartenenza a uno schieramento politico.
Se fino a questi anni il suo percorso scolastico è stato brillante ma discontinuo, dal 4° anno frequenta con la massima concentrazione e il massimo profitto la Clinica medica diretta da Augusto Murri e la Clinica chirurgica diretta da Pietro Loreta, che saranno i suoi maestri.
Nell’ultimo anno di corso entrò in servizio regolare come pro-assistente di Clinica chirurgica e, dopo la laurea, conseguita il 24 giugno 1883, ottenne il posto di assistente interno. Prestò servizio militare alla Scuola Militare di Sanità di Firenze e poi all’Ospedale Militare di Torino.
Nel 1886 Nigrisoli tornò a Bologna al suo posto di assistente di Clinica chirurgica, ma, a seguito di contrasti e incomprensioni con il Loreta, decise di andarsene e concorrere al posto di Primario chirurgo e Direttore nell’Ospedale di Castiglion Fiorentino, dove restò due anni, per passare poi a Ravenna, come primario chirurgo nel luglio del 1890.
L’Ospedale di Ravenna aveva avuto ottimi primari chirurghi, ma in una situazione di continua litigiosità e di conflitto e il suo arrivo comportò immediatamente una serie di impegni per l’amministrazione dell’Ospedale per garantire un minimo di operabilità in condizioni di decenza e di igiene. La struttura ospedaliera era in condizioni incredibili di trascuratezza e di degrado, tanto da costringere Bartolo a continue richieste di interventi migliorativi: da una semplice ripulitura e imbiancatura delle camerate, all’assunzione di personale, a una nuova sala operatoria.
Tali opere conosceranno tempi lunghi, si scontreranno con le ristrettezze di bilancio e comunque un miglioramento delle condizioni sarà reso possibile solo grazie alla tenacia, alla determinazione e anche al personale contributo economico di Bartolo.
All’impegno per migliorare le condizioni di degenza dei pazienti e la funzionalità della struttura Nigrisoli accompagnò lo studio, la ricerca e un continuo aggiornamento della propria professionalità, attraverso rapporti con colleghi in Italia e all’estero. Durante la sua permanenza a Ravenna, infatti, si recò a Berlino per studiare la nuova scoperta del Dott. Robert Koch e al Congresso Medico Internazionale di Mosca. Negli anni visitò le cliniche di altri paesi europei: Finlandia, Svezia, Danimarca e si confrontò con la tecniche e le novità scientifiche che in quei contesti trovavano applicazione.
Nigrisoli rimase in servizio all’Ospedale di Ravenna ininterrottamente dal 5 luglio 1890 sino a tutto il 1898, prestando la sua opera sia nel suo reparto, sia a domicilio nella città e in tutto il Comune. Il suo reparto, con circa novanta letti, divenne comparabile a quelli dei grandi ospedali delle principali città italiane.
Nonostante tutto questo, i rapporti con l’amministrazione non furono sempre facili: diversi screzi con la Congregazione di Carità che amministrava l’Ospedale lo porteranno a presentare le dimissioni nel 1896. Le dimissioni rientrarono, ma si fece strada in lui l’idea di lasciare Ravenna, proposito che si rese concreto alla proposta del Rettore dell’Università di Bologna di accettare la nomina di aiuto nella Clinica chirurgica, con l’incarico di dirigere il servizio interno e di attendere alla tecnica operatoria.
Da questo momento fino al 1905 divise il suo impegno fra l’Università e l’Ospedale di Ravenna, continuerà ad aver rapporti con Ravenna fino all’arrivo di un nuovo primario, rinunziando a qualsiasi compenso e rimborso spese. Va aggiunto che resterà sempre un punto di riferimento per i suoi compaesani in difficoltà, cui non negherà mai un consulto o un aiuto.
Nigrisoli entrò in servizio all’Ospedale Maggiore il primo settembre 1905, realizzando la sua vera aspirazione, in quanto era poco interessato alla carriera universitaria. Divenne così Primario chirurgo in quello che era considerato uno dei più prestigiosi ospedali d’Italia. Venne confermato con contratti triennali, fino a quando non si dimise, al suo rientro dalla missione in Montenegro nel 1913, per un contrasto con l’amministrazione, che aveva autorizzato la costruzione della camera mortuaria accanto al suo reparto di chirurgia. Fino a quel momento al Maggiore aveva eseguito circa diecimila operazioni.
Nigrisoli lasciò l’ospedale e iniziò a operare nella Casa di Salute di Via Malgrado, casa di cura che aveva aperto assieme al fratello Antonio, oculista. Qui poté meglio operare grazie ad attrezzature moderne e adeguate alle diverse esigenze; la cura e l’assistenza verso i pazienti conservavano sempre un carattere di beneficenza.
Nel frattempo fu impegnato sui fronti di guerra: nel 1912 era partito per il Montenegro come capo della missione della C.R.I. durante la guerra balcanica contro i turchi. Sarebbe dovuto restare fuori solo tre mesi con un ospedale da cinquanta letti e un’ambulanza da venti, ma a Podgoritza nel febbraio del 1913 l’ospedale contava fino a 700 letti e i mesi da tre diventarono sette, oltre quattromila i feriti curati.
La sua esperienza di ferite di guerra, di fratture e chirurgia vasale divenne preziosa poi al momento dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1915. Allo scoppio della Grande guerra partì al servizio della C.R.I., cedendo alla stessa anche la sua Casa di Cura. Fu nominato Consulente e Ispettore sanitario non solo degli ospedali ambulanze della C.R.I. ma anche degli ospedali e dei servizi chirurgici della Sanità militare. Nel maggio del 1916 diresse l’Ambulanza Chirurgica di Armata, posto che mantenne fino alla fine del conflitto, assistendo più di tremila feriti.
All’Ambulanza Chirurgica erano destinati i feriti addominali e cranici ma Nigrisoli, contravvenendo agli ordini, non rifiutò l’ammissione e la cura anche a feriti di altra natura, se gravissimi, senza preoccuparsi in alcun modo delle disposizioni, ma solo della necessità di portare presto soccorso a feriti che un trasporto ulteriore avrebbe messo in sicuro pericolo di vita.
Non accetterà la medaglia al valore che gli era stata proposta, ma la semplice croce di guerra e un attestato della C.R.I. unicamente per documentare il servizio prestato. Servizio che si rivela prezioso per i progressi della chirurgia sulla base dell’esperienza della chirurgia di guerra.
Alla fine della guerra ritornò alla sua clinica, rifiutando la proposta di rientro all’Ospedale Maggiore, dove, in realtà, non avevano mai accettato la sue dimissioni. Non rifiutò invece di valutare la proposta per un incarico di docenza all’Università. La facoltà di Medicina e Chirurgia con voto unanime lo incarica per l’insegnamento di Clinica chirurgica e di Medicina operatoria per l’anno scolastico 1919-1920. L’incarico è rinnovato per un altro biennio, ma poi la cattedra fu messa a concorso.
Questa scelta determinò il pericolo di vedere Nigrisoli non confermato nell’insegnamento per problemi legati allo sviluppo della carriera accademica che egli aveva interrotto. Protestarono con manifestazioni di particolare determinazione e inaspettata compattezza gli studenti e i docenti della Facoltà con Murri in testa, l’intera città di Bologna e gli amici romagnoli. La questione fu risolta dal ministro della Pubblica Istruzione a favore di Nigrisoli.
Il fascismo, intanto, giunto al potere, stava trasformando lo Stato in un regime illiberale, alternando alle lusinghe nei confronti dei singoli, le minacce e le violenze generalizzate. Nigrisoli aveva deciso di non manifestare apertamente le sue simpatie politiche a causa della professione che svolgeva, ma non era un carattere facile: non si faceva lusingare né intimorire.
La lusinga arrivò subito con una proposta di nomina a Senatore, che rifiutò.
Egli non solo aveva una grande integrità morale cui ripugnava la violenza fascista, ma aveva una intelligenza profonda della storia, che lo rendeva consapevole delle finalità disastrose di quello stato totalitario ancora in formazione.
“Quello per il fascismo fu un vero delirio collettivo: si videro delle vere aberrazioni della mente ed esaltazioni tali di un errato e falso patriottismo, inconcepibile in uomini di senno e sulla cui assoluta buonafede sembrava non doversi dubitare. Quando penso alla mancanza assoluta di dignità dimostrata da molti di codesti uomini, che non avevano alcun bisogno di prostrarsi così bassamente, e che avrebbero forse salvato la patria se invece di applaudire servilmente al regime fascista, fossero rimasti decorosamente fermi in disparte, io mi vergogno di essere italiano”.
Dalle memorie di Bartolo Nigrisoli
Nigrisoli divenne per il fascismo un avversario oltre che scomodo anche intoccabile, perché gli infiniti atti di generosità verso i bisognosi del suo aiuto e gli ammalati poveri gli avevano creato una larga base popolare a lui favorevole per stima e per riconoscenza. Godeva inoltre della massima considerazione in campo medico e scientifico, come dimostrato dai fatti di Bologna. Proseguì silenziosamente la sua attività di docente e di chirurgo e, per restare indipendente, non chiese mai finanziamenti ad alcuno. Con le quote a lui spettanti per le operazioni sui degenti paganti provvide all’acquisto degli strumenti, al pagamento degli assistenti, alle gratificazioni degli infermieri.
Questo fino a quando, nel dicembre del 1931, Mussolini pretese il giuramento di fedeltà al fascismo da parte dei docenti universitari. Alcuni amici gli consigliarono di chiedere immediatamente il collocamento a riposo, come altri fecero, ma egli (seppure avesse già compiuto settantadue anni) rifiutò questa soluzione, ribadendo che non avrebbe giurato e non si sarebbe allontanato spontaneamente, proprio per lasciare al fascismo la responsabilità di ogni decisione al riguardo. Solo dodici docenti nell’intero paese rifiutarono il giuramento e tutti furono allontanati dalle rispettive cattedre. Nigrisoli continuò a esercitare la chirurgia nella sua Casa di Cura e opera fino ai primi del 1941, mentre prosegue le sole visite ambulatoriali fino all’età di 85 anni, quando cessò completamente l’esercizio professionale, sia per l’acuirsi dell’asma, sia per le peggiorate condizioni della vista.
Nel 1943 fu costretto a fuggire da Bologna. Nell’anno successivo, per evitare le rappresaglie dei repubblichini, si nascose prima nella sua casa di Mezzano e poi da luglio a settembre presso la famiglia Barazzi ad Alfonsine. Dal 20 settembre 1944 al febbraio 1945, trovò rifugio presso la Casa di Cura “Villa Bellombra” a Bologna.
Dopo la Liberazione gli fu proposta la riassunzione in ruolo all’Università ma Nigrisoli (è Aldo Spallicci a narrare l’episodio) rispose: “E che? Con tutte le rovine che avete d’intorno, con tutte le miserie che affliggono questo disgraziato paese avete il tempo da perdere in queste insulsaggini? Non avete nulla di meglio da fare che occuparvi di questo povero cencio umano che vi sta di fronte? Su su, animo, compite opere necessarie e mentre c’è gente che muore di fame, e morrà di freddo e di stenti domani, non sciupate in modo così ridicolo le vostre energie”.
Nigrisoli dedicò l’ultimo periodo della vita a scrivere i ricordi e le riflessioni sulla sua lunga esperienza, sulla sua attività di chirurgo, sui medici che aveva conosciuto e stimato, su Olindo Guerrini e sulla storia della sua famiglia. Si spegne la sera del 6 novembre 1948. Le sue ceneri riposano nel cimitero di Sant’Alberto.
Queste note biografiche sono state riassunte dai testi del dottor Romano Pasi, “Bartolo Nigrisoli” (Mario Lapucci Edizioni del Girasole, Ravenna 1989) e “I medici e la cultura medica a Ravenna. Dall’età romana a quella contemporanea” (Longo Editore, Ravenna 2011) e sono tratte dal sito www.percorsimezzano.it